domenica 21 novembre 2010

Date una mano a Don Salvatore!


Negli anni 80 lo chiamavano "mister 5%" per la sua straordinaria abilità di possedere una quota nelle grandi aziende del capitalismo italiano (da De Benedetti alla Pirelli fino a Pesenti).
Per capire quel che sta accadendo dovremmo conoscere innanzitutto la struttura azionaria del principale gioiello sul quale si fonda l'impero di Don Salvatore Ligresti.
Il gruppo Ligresti si poggia su tre pilatri: assicurazioni, immobili e finanza. Quest'impero viene a sua volta controllato dalla Holding Premafin che fa capo ai suoi figli. Secondo alcuni conti, lo scorso anno quest'ultima ha chiuso con un passivo di 412 milioni di euro.
Nel 2207 il titolo in borsa valeva due euro mentre adesso siamo vicini ad un euro e la relativa capitalizzazione (per capitalizzazione si intende il valore effettivo dell'azienda) è scesa notevolmente passando da 770 milioni di euro circa a 440.
L'attività delle assicurazioni è divisa in due grandi compagnie: la "Fondiaria SAI" e la "Milano" entrambe in rosso nel ramo polizze vita e sinistri, vuoi per la congiuntura economica vuoi per calcoli sbagliati.
Come scrive Stefano Cingolani, un giornalista esperto nell'ambiente "le sue partecipazioni nei grandi gruppi industriali sono compromessi perchè Ligresti è presente in Alitalia, nella società che gestisce gli aereoporti di Roma, Impregilo e RCS ovvero il Corriere della sera).
A livello immobiliare Ligresti si è lanciato nella costruzione di vecchie aree dismesse nel nord Italia come Milano (nuovo compelsso a Porta Garibaldi oltre a centinaia di terreni in costruzione per l'Expo del 2015), Torino e Roma (le torri del quartiere EUR).
A differenza invece degli immobiliaristi tipo Ricucci e Statuto che compravo palazzi nei centri delle grandi città, li ristrutturavano e li rivendevano, Ligresti ha puntato sulle periferie da riqualificare appunto.
Il controllo del suo impero è diviso in parti uguali alle tre figlie e al suo 4° figlio che gestiscono tramite società che hanno sede in Lussemburgo.
Giulia Maria disegna borse, la sua passione.
Dall'inizio della sua cavalcata, a metà degli anni Settanta, Ligresti ha rischiato più volte di andare a gambe all'aria, ma è sempre stato sostenuto e salvato dal fior fiore del mondo bancario, a cominciare da Enrico Cuccia.
L'incontro con il padrino dell'alta finanza è avvenuto per caso, quando don Salvatore era snobbato dal club dei poteri forti e lo chiamavano Totò: "Ero all'aeroporto di Fiumicino - ricorda - aspettando il volo Alitalia per Milano, tradizionalmente in ritardo. E lui si trovava accanto a me. Cominciammo a parlare e abbiamo fatto subito amicizia". Semplice, come le cose vere. Come gli esordi. E' ancora Ligresti a raccontarlo nella prima intervista concessa, nel febbraio 1986, ad Anna Di Martino del Mondo: "Avevo saputo della possibilità di costruire, ma ci volevano 15 milioni e io ne avevo solo cinque. Sono andato al Credito Commerciale, mi ha ricevuto il direttore generale Mascherpa, è stato a sentire e poi mi ha dato dieci milioni. Ho fatto il progetto e ho rivenduto per 50 milioni. Era il 1962" (parte protetta da copyright:Il Foglio).
Salvatore è nato a Paternò in provincia di Catania nel 1932 da una famiglia di commercianti che possedeva anche vasti appezzamenti di terreni come agrumeti e Salvatore viene manato a studiare ingegneria a Padova mentre il fratello più grande, medico, fa carriera dirigendo e acquistando cliniche private.
Si trasferisce a Milano dove conosce un certo Virgillito, suo compaesano, che ha fatto fortuna vendendo le case dei milanesi che avevano lasciato per sfuggire all'invasione tedesca.
Virgillito scala la Liquigas e poi assume Ligresti.
Ligresti viene presentato a Virgillito da un certo La Russa, nonno dell'attuale ministro della difesa, che era parlamentare dell'MSI, il vecchio movimento sociale italiano.
Dopo una serie di fallimenti, Virgillito lascia la Liquigas a Ligresti e da lì inizia l'avventura perchè il ragazzo si mostra davvero in gamba facendo affari con De Benedetti.
Evidentemente non tutto viene fatto alla luce del sole perchè proprio qualche anno più tardi viene rapita la moglie e ci vogliono 600 milioni per pagare il riscatto ad alcune cosce palermitane dei Marchese affiliati a Stefano Bontade.
L'inchiesta però non porta a nulla e Salvatore riesce ad emergere.
Arriva Tangentopoli e anche lui viene travolto dalle accuse, da qui segue la galera, viene messo nella stessa cella di un tossicodipendente e alla fine sconterà la pena con l'affidamento ai servizi sociali.
Tutta questa storia ovviamente gli fa perdere il titolo di onorabilità che è un requisito essenziale nel dirigere una compagnia assicurativa.
Quando però si tratta di comprare la Fondiaria dalla Montedison, la Consob richiede che si venga lanciata un' OPA, cosa che LIgresti non può fare perchè a corto di liquidità. A questo punto viene salvato da Geronzi e Bazoli che lo aiutano nella scalata e lo fanno entrare nel salotto che conta, ovvero quello di RCS Corriere della Sera.
L'aiuto che gli concedono è finalizzato ad evitare che la Fondiaria finisca in mano alla FIAT e così che la figlia stringe un'alleanza di ferro con Profumo che ricambierà il favore concedendo un prestito enorme per una ricapitalizzazione (ecco perchè nella guerra interna all'Unicredit Ligresti appoggia apertamente Profumo).
Nell'ultima battaglia della famiglia Ligresti cìèla possibilità di ricapitalizzare le sue imprese così ha bisogno di soldi.Chi li può dare i soldi? Vincent Bollorè, il finanziare bretone amico di Berlsuconi e presente nella grande Mediobanca.
Nella nuova organizzazione la famiglia Ligresti ha il 36 per cento delle azioni e Bollorè il 25, lui incassa i soldi e riparte, come sempre giocando sul filo del grande capitalismo italiano.

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