sabato 13 febbraio 2010

La politica americana e la questione dei soldi del Presidente

"In politica ci sono due cose importanti, diceva alla fine dell’Ottocento Mark Hanna, lo stratega del presidente repubblicano William McKinley: “La prima sono i soldi e non mi ricordo quale sia la seconda”. Soldi, soldi, soldi!
In America dare soldi ai politici si fa e si dice, anzi si deve dire, addirittura conviene dirlo, perché poi si può anche scaricare dalle tasse. Gli americani mettono mano al portafoglio e finanziano politici e magistrati, sceriffi e difensori civici con dieci, cento, mille dollari, massimo 2.300 dollari l’anno a candidato.
A proposito c'è una testimonianza personale proprio in America nella quale avevo visto nella città dove risiedevo dei maxi cartelloni tipici delle nostre campagne elettorali dove si vedevano facce di sceriffi ognuno col proprio slogan che si candidavano in occasione del rinnovo della carica a sceriffo della contea appunto.
E' come se in Italia noi dovremmo votare per il nostro maresciallo dei carabinieri del circondario giudiziario nel quale apparteniamo.
Chiedendo informazioni ai miei parenti, loro hanno spiegato che ci sono anche spot televisivi e che loro stessi davano dei contributi elettorali per far rieleggere lo sceriffo di quella contea nella quale, secondo la loro opinione, grazie a quel determinato sceriffo gli episodi di microcriminalità erano vistosamente diminuiti.

QUALCHE CRITICA

I critici del sistema americano sostengono che quella statunitense sia una democrazia in vendita al miglior offerente, una partita truccata dove vince chi gioca con la squadra più ricca e si avvale degli interessi speciali più invadenti. In realtà queste critiche non tengono conto che gli interessi sono sempre contrapposti, che se c’è qualcuno che si impegna a favore di un candidato o di una legge, c’è anche qualcun altro che investe denaro sulla posizione alternativa.

OBAMA E Mc CAIN: PER QUALCHE DOLLARO IN PIU'

La straordinaria campagna elettorale di Barack Obama ha potuto certamente contare su un formidabile candidato e su un altrettanto efficace messaggio politico che lo accompagnava, ma non avrebbe potuto ottenere il successo che ha avuto senza quei 730 milioni di dollari raccolti in poco meno di due anni. Il suo avversario, il repubblicano John McCain, ne ha raccolti soltanto 284.
Il repubblicano, al contrario di Obama, ha mantenuto la promessa di accettare per gli ultimi due mesi di campagna elettorale gli 84 milioni di finanziamento pubblico versati dai contribuenti che hanno devoluto al sistema tre dollari attraverso le dichiarazioni dei redditi.
Lo stato federale assegna questa cifra ai candidati presidenziali in cambio della rinuncia alla raccolta di ulteriori fondi e, quindi, di una limitazione delle spese. Obama ha detto di no ai soldi pubblici, malgrado avesse promesso che li avrebbe accettati.
Il finanziamento pubblico è stato istituito nel 1974 per limitare i costi delle campagne elettorali e da allora è un pilastro della politica americana.

IL RECORD DI OBAMA

Nessuno prima di Obama, nemmeno George W. Bush, aveva mai avuto il coraggio di rinunciarvi.
Obama ha detto di no perché si è accorto che avrebbe potuto raccogliere, e quindi spendere, molti più soldi di quanti gliene offrivano lo stato e gli suggerivano le sue convinzioni etiche e politiche.
La bravura di Obama è stata anche di riuscire a far credere che la sua campagna di autofinanziamento fosse dovuta in gran parte all’entusiasmo di milioni di piccoli contribuenti, di singoli militanti che hanno versato meno di duecento dollari durante l’anno delle elezioni.
Alla fine del ciclo elettorale, quando sono usciti i dati definitivi, si è scoperto che non era vero: soltanto il 26 per cento del totale dei finanziamenti di Obama è arrivato da piccoli contribuenti. Nel 2004, per Bush erano stati il 24 per cento, per Kerry il 20. Nel 2008, per il repubblicano McCain sono stati il 21 per cento.
L’innovazione tecnologica portata da Obama ha destabilizzato il piano di Clinton.

IL SEGRETO DI BARACK

Obama, infatti, è riuscito a trasportare in politica il modello di network sociale che ha fatto la fortuna dei siti come Facebook e MySpace. Nel pieno dello scontro elettorale, i gruppi tematici o locali, spontanei e autofinanziati, erano quasi 10 mila. Un milione di militanti e di piccoli finanziatori si sono mobilitati per il candidato e sono rimasti attivi sul web, pronti a rispondere alle richieste del quartier generale di Chicago.

OBAMA STA CON LE LOBBY?
Una volta alla Casa Bianca, Obama ha nominato a capo del suo staff economico Lawrence Summers, un protegé di Bob Rubin, il guru liberista clintoniano e garante politico di Wall Street che poi ha avuto un ruolo non secondario nel salvataggio pubblico di Citigroup, il colosso bancario di cui è diventato presidente quando ha lasciato il Tesoro di Clinton.
Il capo dello staff della Casa Bianca, Rahm Emanuel, è un ex banchiere d’affari e il segretario al Tesoro, Tim Geithner, ha guidato la Federal Reserve di New York quando gli istituti finanziari hanno creato la bolla speculativa scoppiata un anno e mezzo fa.

I SINDACATI?

Le grandi aziende e i sindacati finanziano candidati e politici, ma soprattutto spendono miliardi di dollari l’anno per fare pressioni trasparenti e legali sul Congresso e sulle strutture federali.
La via più comune per influire sulla gestione della cosa pubblica in modo da ottenere vantaggi milionari è quella di affidarsi alle aziende di lobbying registrate regolarmente e quasi tutte con sede nella leggendaria K Street di Washington. In totale sono 13.415 i lobbyisti iscritti all’albo.

CONSIDERAZIONI

Si è sempre saputo che la politica americana e forse anche quella in altri paesi, è sempre stata caratterizzata dalle pressioni che vengono dalle grandi lobbies finanziarie.
Questo post, che è stato quasi interamente ripreso da un articolo di Christian Rocca sul Foglio di Venerdì 5 Febbraio 2010, ci spiega esattamente i meccanismi che ruotano intorno al mondo politico.
Obama ha promesso di essere in nemico di Wall Street ma, per realismo e pragmatismo fino ad oggi non si è atteggiato proprio da nemico.
C'è sicuramente da considerare che il contesto in cui governa è molto particolare ma in ogni caso abbiamo visto che i soldi contano, eccome!
Anche in Europa, al Parlamento europeo ogni giorno deputati assistono ad incontri con dei lobbisti per qualsiasi richiesta e genere.
L'esempio lampante è accaduto nel corso del diffondersi del virus H1N1, la suina per intenderci.
Improvvisamente però, su tutti i media, giornali, tg l'espressione "febbre suina" è scomparsa e quasi nessuno la menzionava indicando una più corretta e saggia espressione della medicina: virus H1N1 appunto.
Questo è accaduto perchè una potentissima lobby di produttori di maiale europei ha svolto un'operazione di pressione e convincimento, anche in cambio di soldi ovviamente, su tutti i centri di ricerca europei, le università e su tutto il mondo scientifico affinchè si decidessero a dare un nome che non menzionasse la parola "suina".
In questo modo le persone non avrebbero più comprato carne di maiale perchè considerata a rischio col conseguente danno finanziario incalcolabile.

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