domenica 31 ottobre 2010

E LI CHIAMANO PURE MALACARNE!


Nel giugno del 2008 la procura di Palermo apre un'inchiesta per "favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra" contro Mario Mori.
Di cosa è accusato e sopratutto chi è Mario Mori.
Comandante del gruppo carabinieri di Palermo, poi comandante dei ROS (Raggruppamenti Operativi Speciali) e infine numero uno del SISDE, il servizio segreto civile.
Il destino di questo ufficiale militare triestino è collegato ad un codice: 2789/90, un numero in serie che ricorrerà spesso in questo post.
Il più importante successo di Mori arrivò il 15 di gennaio 1993 di fronte al numero 54 di via Bernini, a Palermo, quando il generale fece arrestare lui, il capo dei capi: Totò Riina.
Paradossalmente però accade che l'arresto del mafioso più ricercato al mondo non coincide con la perquisizione della sua abitazione. Molti pensano che la mancata perlustrazione fosse un modo come un altro per dare la possibilità ai mafiosi di ripulire l'abitazione e di cancellare le proprioe tracce.
Mori sostiene che fu la procura a non dare l'ordine di perquisire ma nonostante ciò nel 1997 si apre un'altra inchiesta "per sottrazione di doucmenti e favoreggiamento" contro ignoti.
Nel 2002 i pm Antonino Ingroia e Michele Prestipino firmano la richiesta di archiviazione gettando allo stesso tempo ombre sul colonello Mori e su Sergio De Caprio (l'ufficiale che ha lavorato a fianco di Mori e che ammanettò Riina).
Così nel 2004 si riapre l' altra inchiesta, questa volta contro Mori e De Caprio.
Dopo essere stato assolto per favoreggiamento sembra tutto finito e invece viene indagato ancora una volta. Questa volta ad accusarlo è il colonnello dei carabinieri Michele Riccio che diventa il teste di acusa della procura.
La storia è curiosa e viene così brevemente descritta.
Curiosa perchè il colonnello Riccio accusa Mori, ma anni prima fu lo stesso Mori a denunciare Riccio per la famosa "Operazione Pantera". Così Mori si trova sotto processo sulla base di un'accusa sostenuta da una persona da lui stesso denunciata anni prima.
"L'Operazione Pantera" portò al sequestro di una partita di pesce congelato con 288 tonnellate di cocaina proveniente dalla Colombia. Questo provocò a Riccio due reati: "detenzione e occultamento di stupefacenti" perchè si scopri che nel sequestro sparirono 5 kg di cocaina destinati alla distruzione.
Mori denunciò l'accaduto e dopo che Riccio fu condannato a 4 anni e 10 mesi nel 2001 Riccio chiese al pm di essere ascoltato sui gravi fatti riguardanti la mancata cattura di Provenzano e la morte del tenete Ilardo. La storia di Ilardo è misteriosa.
Riccio sostiene che il suo informatore, Ilardo appunto trovato morto pochi mesi dopo, offrì la possibilità di catturare Bernardo Provenzano.
Ilardo e Riccio si trovavano allo svincolo di Mezzojuso, un paesino in provincia di Palermo, e si erano appostati in attesa del via libera che avrebbe dovuto catturare "Zu Binnu". Via libera che non arrivò mai perchè Mori non autorizzò l'intervento.
La versione di Riccio viene subito contestata da un altro collega e ufficiale, il tenente che nel ''95 prestava servizio presso i ROS di Caltanissetta, il quale ostiene che quel giorno a Mezzojuso, avevano l'ordine di fare dei rilievi fotografici per studiare il territorio e che non c'era nessuna prova che lì si nascondesse Provenzano. La cosa però che crea polemiche e che è presente nel verbale redatto a fine giornata, è che il colonnello Riccio non c'era, non era presente perchè rimasto in ufficio!
Ad ogni modo la procura fece due calcoli e collegò la mancata perquisizione del covo del '93 e la mancata cattura del '95 per confermare la tesi della presunta trattativa tra mafia e stato.
Secondo le tesi di Massimo Ciancimino, Borsellino srebbe stato ucciso perhè era venuto a conoscenza della trattativa e si oppose e la mafia lo fece salare in aria.
Qui ritona il vecchio codice di cui parlavamo all'inizio e che si collega al destino di Mori: 2789/90.
Questo è il codice dell'inchiesta, forse la più grande per dimensioni e conseguenze dopo il maxi processo. E' l'inchiesta che parla di tangenti e che a suo temo fu avviata da Giovanni Falcone che diede esplicito incarico a Mori di coordinarla.
Si trattava di relazioni criminose tra la mafia e gli appalti coinvlgendo parecchi politici del tempo trovando collegamenti nazionali del nord Italia.
Quell'inchiesta non fu presa seriamente in considerazione dal procuratore di allora Piero Giammanco (quello che soffiò la poltrona di procuratore a Palermo proprio a Falcone).
Mori individuò in ogni caso 44 posizoni da prendere in esame ma la procura spiccò solo 5 provvediemnti di custodia cautelare.
Mori chiamò Falcone e a detta di Mori, Falcone tristemente comunicò tristemente che forse si era proceduto i quel modo perchè l' inchieta toccava molti politici e per questa fu ridimensionata.
Pochi mesi dopo la morte di Falcone, Borsellino convocò in gran segreto Mori e il capitano De Donno e insisteva nel riprendere l'inchiesta "Mafia e Appalti".
Borsellino sosteneva che studiando il filone "Mafia ed appalti" si poteva giungere all'individuazione dei moventi della strage di Capaci.
Così il giorno dopo i funerali di Borsellino, a cadavere ancora caldo, la procura di Palermo depositò un fascicolo con una richiesta di archiviazione.
Sopra quel fascicolo c'era un codice fatto di sei numeri: 2789/90.
Era proprio quello: il fascicolo dell?inchiesta ",Mafia ed appalti".

L'ombra della trattativa vera o presunta

Il pentito Gaspare Spatuzza sostiene di aver riconosciuto un uomo dei servizi segreti mentre preparava l'auto che avrebbe fatto saltare in aria Paolo Borsellinoe quindi questo ancora avvalora il fascino romanzesco della presunta trattativa tra stato e mafia.
In realtà i fatti provati dicono che in una lotta contro la mafia si utilizzano tecniche di intelligence che implicano tentativi di infiltrazione e ricerca di confidenti e che proprio queste tecniche portano alla crisi del sistema di Cosa Nostra (fu il pentito Balduccio Di Maggio che all'intenro del furgone dei carabinieri riconobbe Ninetta Bagarella mentre rientrava e suonava al cancello di via Bernini). Sicuramente Mori utilizzò qualche tencica e qualche amicizia all'infuori del sistema, uno di quei "giri" un pò peridoloso che adesso gli crea questi guai.
Il paradosso di questa trattativa è che forse una trattavia ci fu, trattativa tentata dai criminali però il cui risultato è che adsso sono tutti in galera in regime di carcere duro e con diversi ergastoli da scontare.
Cosa avrebbero ottenuto questi mafiosi da questa trattativa? Da questi fantomatici accordi con lo Stato?
C'è chi sostiene che l'obiettivo era quello di cambiare il sistema politico della Prima Repubblica per sostiturilo con uno nuovo e dunque più compiacente con i propri interessi.
Neussno può affermare con un minimo di serietà che negli ultmi 18 anni la lotta alla mafia sia stata attenuata, anzi.
Se si guarda alla realtà dei fatti e non alle minchiate dei pentiti, si registra un successo dello Stato.
Se davvero esistesse una zona grigia, una zona rappresentata da questa trattativa, sui fatti sicuramnte non ha proiettato ombre.

Quindi Mori sta subendo un nuovo processo dopo che è stato assolto in un altro dello stesso genere.
Scrive Massimo Bordin, ex direttore di Radio Radicale e voce della rassegna "Stampa e Regime".
Bordin è considerato uno degli osservatori più attenti delle vicende giudiziarie e mafiologiche d'Italia.
"In un universo ormai scardinato, i superpoliziotti di ieri sono i colpevoli di oggi, e i pentiti, anche i meno credibili, riscrivono la storia secondo un copione che ha già conquistato gli italiani".
Il cronista chiede: la trattativa Stato-Mafia? Bordin risponde:" Secondo loro Mori avrebbe negoziato con Riina. Ma allora com'è possibile che poi, proprio lui, lo ha arrestato? Così come Provenzano. E questo famoso "papello" poi? Non una delle richieste si è realizzata.
La fantomaticca trattativa non ha avuto alcun esito.
I dichiaranti pentiti sono credibili non perchè in grado di provare ciò che dicono ma perchè racontano in modo variopinto quel che abbiamo nel cuore e nel cervello, continua Bordin. Pagati, distribuiscono a piene mani verità secondo schemi della finction cinematografica "romanzesca". Letterale potremmo anche aggiungere noi.
Dice lo storico Salvatore Lupo: "E' sempre succeso che i polizziotti avessero rapporti con i criminali. Quando si parla della trattativa stato/mafia viene da sorridere.
Può esserci un singolo funzionario che per qualche motivo, di servizio o per collusione, coltiva dei rapporti con la mafia. MA lo Stato cosa c'entra?
I rapporti non sono mai verticistici ovvero che riguardano i rispettivi vertici.
La grande politica, la politica che conta e che decide non c'entra nulla con questo anche se i mafiosi anche in buona fede credono sia così.
Credo sia vero, continua Lupo, che Bontade dicesse ai suoi uomini frasi dl tipo:" tranquilli ci penserà Andreotti".
Ma questo non significa che Andreotti fosse un mafioso o avesse rapporti diretti con loro.
Erano semmai i mafiosi ad essere andreottiani. Gente volgare, non certo stupida, ma che ragiona in maniera rozza.
Il professore Lupo esce fuor di metafora:" le bombe le ha messe Riina. E'stato lui a prendere la decisioni. Era funzionale alla sua strategia, che è poi quella che aveva imparato dai suoi pedecessori e che lui stesso aveva già applicato in precedenza come gli omicidi Dalla Chiesa e Chinnici, due personalità di estrema grandezza.
Riina era in difficoltà, puntava all'annullamento del maxiprocesso e avviò le stragi.
Sembra a volte che la si pensi come quel personaggio di Sciascia che nel romanzo dice: la mafia vera non dovete cercarla a Palermo, è a Roma che abita in capo di tute le mafie.

(Fonti: Claudio Cerasa, Massimo Bordin, Radio Radicale, Wipedia Italia).

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